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Il Gruppo Vulcano ha spento Tesla!

Martedì mattina, intorno alle 4:50, un traliccio dell’elettricità nello Stato tedesco del Brandeburgo è andato in fiamme. Vecchi pneumatici ammucchiati intorno hanno suggerito che si trattasse di un caso deliberato di incendio doloso. Pochi secondi dopo, l’elettricità ai villaggi circostanti è stata interrotta, colpendo migliaia di famiglie. I tagli hanno interessato anche la cosiddetta Gigafactory di Tesla nella vicina area di Grünheide. La fabbrica di automobili dovrebbe produrre 750 auto elettriche al giorno, ma a seguito dell’interruzione, circa 12.000 lavoratori sono stati evacuati mentre la produzione si fermava. Tesla ha dichiarato di non aspettarsi una ripresa della produzione questa settimana e ha stimato che i danni si aggirano intorno a “diverse centinaia di milioni di euro”. Abbiamo tradotto dal tedesco il comunicato del Gruppo Vulcano, che rivendica questo regalo fatto al pianeta e a tutti/e noi per l’8 marzo.

Oggi abbiamo sabotato Tesla. Perché Tesla a Grünau mangia suolo, risorse, persone, manodopera e sputa 6.000 SUV, macchine assassine e monster truck alla settimana. Il nostro regalo per l’8 marzo è chiudere Tesla. Perché la completa distruzione della Gigafactory e con essa l’eliminazione dei “tecno-fascisti” come Elon Musk è un passo avanti verso la liberazione dal patriarcato.

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Viva la maestra

Di Mario Di Vito

Da Rivista Malamente n. 32, mar. 2024 (QUI IL PDF)

Tribunale di Budapest, 29 gennaio 2024, Ilaria Salis a processo. Fotografia di Mario Di Vito.

La paura è la risposta a quasi tutte le domande che possono venire quando si arriva a Budapest e si cercano tracce degli antifascisti. La paura di un paese che agli antifascisti fa più o meno esplicitamente la guerra, che li mette in galera e non li fa uscire, che li considera terroristi e come tali li rivende a giornali e televisioni. La prima udienza del processo a Ilaria Salis, lunedì 29 gennaio 2024, ha visto la totale assenza in aula di antifascisti ungheresi. C’erano degli italiani, qualche tedesco, ma niente ungheresi. Perché? Per paura. Legittima. Dicono che in certe occasioni è pieno così di poliziotti in borghese (è vero) che stanno lì per fotografarli e schedarli. E non è raro che poi quelle foto finiscano in un modo o nell’altro nelle mani sbagliate, cioè in quelle dei neonazisti, che in Ungheria abbondano e non sono solo un mero dato folkoristico come in altri paesi. Basta leggere le cronache, parlare con gli antifascisti, o anche solo scambiare qualche impressione con chi si professa democratico e continua a credere che uno stato di diritto, nonostante tutto, sia un orizzonte possibile persino qui nel paese di Orban.

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Posizione e appello di Soulèvement de la terre sul movimento contadino in corso

Da lundi.am

Già da una settimana il mondo dell’agricoltura sta esprimendo a gran voce e in strada la sua rabbia: quella di un mestiere diventato quasi impraticabile, che si sgretola sotto la brutalità degli sconvolgimenti ecologici che si profilano all’orizzonte e sotto asfissianti vincoli economici, normativi, amministrativi e tecnologici.

Mentre i blocchi continuano quasi ovunque, come movimento Soulèvement de la terre proponiamo qualche riflessione sulla situazione.

Siamo un movimento di abitanti di aree urbane e rurali, di ecologisti/e e di contadini/e (sia di quelli che si sono già insediati che di quelli ancora in via di stabilizzazione). Rifiutiamo la polarizzazione che alcuni cercano di creare tra questi mondi. Abbiamo fatto della difesa della terra e dell’acqua il nostro punto di partenza e di radicamento. Da anni ci battiamo contro i grandi progetti di sviluppo che stanno devastando i territori e contro i complessi industriali che se ne accaparrano e li avvelenano. Sia chiaro, l’attuale movimento, in tutta la sua eterogeneità, è stato avviato e guidato in gran parte da forze diverse dalla nostra. Alcuni dei suoi obiettivi sono diversi dai nostri, mentre altri sono assolutamente condivisibili. In ogni caso, quando sono iniziati i primi blocchi ci siamo uniti ad alcuni di loro e alle azioni di vari comitati locali. Siamo andati a incontrare contadini e agricoltori mobilitati. Ci siamo confrontati con compagni e compagne di diverse organizzazioni contadine per capire la loro analisi della situazione. Ci siamo identificati nella rabbia dignitosa di chi rifiuta di rassegnarsi alla propria estinzione.

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Destinazione Pastore

Progetto mutualistico per un acquisto collettivo dell’azienda di Luca Pala

Di CIURMA Comunità Integrata Urbana e Rurale di Mutuo Appoggio

Da Rivista Malamente n. 32, mar. 2024 (QUI IL PDFQUI IL PDF formato opuscolo)

Qui e seguenti: Fotografie di Cristina Panicali presso l’azienda di Luca Pala a Tavoleto (PU), 2024

La Ciurma così riunita e le altre intervenute sperano di coinvolgere con entusiasmo ancora nuove amicizie in questa impresa mutualistica a energia circolare ed effetto immediato.

Innanzitutto si stabilisce indispensabile per il nostro territorio l’esistenza del Cacio così come finora lo abbiamo conosciuto, libero da condizionamenti e ansie di controllo. E questo è auspicabile per la baldoria e il sostentamento alimentare delle nostre reti.

Così come al Cacio il casaro e il Pastore alla bestia, con la nostra associazione acquisteremo l’azienda per far sì che non finisca nelle mani sbagliate.

Questa azienda è così preziosa che per un po’ di tempo sarà di tutte noi e sarà restituita a chi di dovere quando non sarà più in pericolo.

Lo stesso avverrà per l’abitazione.

La casa è di chi l’abita, la terra è di chi la lavora.

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Prison – Dopo la mia esperienza

di Muhammad Ali Raza

Pubblichiamo il testo dell’intervento di Muhammad Ali Raza al presidio “Verità a giustizia per Matteo Concetti”, Ancona, 13 gennaio 2024.

Salve, sono Muhammad Ali Raza un ex detenuto di Montacuto e Barcaglione, i due carceri di Ancona. È la prima volta che mi presento così, direttamente. Di solito non lo faccio perché in questa società se lo dici è come se precludi la possibilità di conoscere la persona che sono veramente; io non sono una decisione presa in cinque minuti un pomeriggio di sette anni fa, preso dall’ingenuità, io non sono la cupidigia di arraffare qualcosa da uno scaffale dodici anni fa, io sono un uomo che conosce il valore del lavoro e della fatica, della fugacità e della preziosità della vita e che non può trovare un bene più grande se non lasciare il mondo un posto migliore rispetto a come l’ha trovato, in onore a chi ha fatto lo stesso prima di lui.

Penso che per portare un cambiamento al sistema della detenzione carceraria e di qualsiasi altro sistema di “simil-detenzione”, come i CPR, sia necessaria una coscienza diffusa da parte della società tutta. Non siamo reietti, non siamo spazzatura da rinchiudere in quattro mura come fossimo errori da dimenticare, siamo esseri umani come voi tutti, non può essere una scelta sbagliata a definirci per il resto della vita. Non siamo dei trofei da portare in gloria, come fecero con me alcuni agenti dei carabinieri che mi arrestarono, non siamo un articolo di cronaca da incorniciare di falsità diffamatorie per ottenere delle views.

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L’antifascismo non è una bandiera russa

Da Rivista Malamente n. 31, dic. 2023 

di Enrico Delfiume

Quando nel febbraio 2022 la Russia ha lanciato l’invasione su larga scala dell’Ucraina, in Occidente molti antifascisti e antifasciste hanno dovuto aprire gli occhi sulla complessità di uno scenario politico e culturale che era stato a lungo trascurato o male interpretato. Le istanze di liberazione sociale, politica e culturale nei paesi dell’Est Europa non sono sovrapponibili in pieno con le categorie ideologiche e non sempre sono leggibili con le simbologie che vengono utilizzate in Europa occidentale.

Durante la guerra civile in Donbass, la presenza di combattenti di esplicita fede fascista in entrambi gli schieramenti aveva prodotto la paradossale situazione per cui, su entrambi i fronti, si trovavano volontari e formazioni di ideologie contrapposte. Quando la Russia ha lanciato l’invasione con tutto il corollario di stragi di civili, terrorismo di Stato e minaccia nucleare, le dimensioni e le coordinate del conflitto sono cambiate.

In questi quasi due anni abbiamo deciso di ascoltare, andando direttamente in Ucraina o traducendo contributi originali, le voci di quanti si sono organizzati per combattere contro l’invasione e per contrastare nei propri paesi l’autoritarismo e la corruzione dei governi di Russia e Bielorussia.

L’utilizzo della retorica antifascista e anti-occidentale da parte del governo di Mosca è palesemente parte di una più ampia strategia dei nuovi attori geopolitici autoritari, come la Russia e l’Iran, per creare e articolare consenso all’interno e all’esterno, mentre praticano la repressione e utilizzano gruppi paramilitari di estrema destra per le proprie strategie militari.

Il caso della compagnia Wagner sarebbe sufficiente a tacitare ogni critica al riguardo. Abbiamo già chiarito come non sia per noi accettabile che chi si dice antifascista si presti a questo equivoco. Tanto più che i compagni e le compagne che combattono legittimamente in Ucraina contro l’invasione, seppure rappresentino una minoranza, tentano esplicitamente di combattere il fascismo anche a casa loro e non risparmiano critiche al governo di Kiev.

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À la guerre comme à la guerre

Da Rivista Malamente n. 31, dic. 2023 (QUI IL PDF)

Di Redazione

Abbiamo scelto di dedicare la copertina alla resistenza del popolo palestinese, oppresso da decenni e vittima in queste settimane di una brutale rappresaglia. La miccia questa volta è stata accesa dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Quello che è seguito è noto ai più, ma l’interpretazione degli eventi è fonte di discussione tra molti compagni e compagne.

Non c’è alcun dubbio che lo Stato di Israele, da decenni, perseguiti e opprima la popolazione palestinese, che attui una politica di sterminio, che occupi territori da cui dovrebbe solo andarsene. Ed è chiaro come in questa “nuova” guerra, ancora una volta, i palestinesi pagheranno il prezzo più alto. Il nostro cuore è con loro e siamo al fianco di tutte le manifestazioni a sostegno della resistenza palestinese che vengono vietate e criminalizzate nel nostro Occidente.

D’altra parte ci rifiutiamo di credere che un gruppo di potere come Hamas possa rappresentare da solo le legittime aspirazioni alla libertà del popolo palestinese; sempre che si possa parlare di un “popolo” palestinese come unità indistinta. Sosteniamo la violenza degli oppressi contro i loro oppressori, ma sappiamo ancora distinguere tra rivolta popolare (intifada) e barbarie indiscriminata come quella che ha colpito tanti civili israeliani e di altre nazionalità la mattina del 7 ottobre. Pertanto ci rifiutiamo di festeggiare per le azioni di uomini che anche all’interno di Gaza reprimono ogni dissenso alla loro linea jihadista.

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Luna di miele a Maiorca

Da Rivista Malamente n. 17, mar. 2020 (QUI IL PDF)

Di Miguel Amorós

La possibilità di spostarsi, viaggiare e soggiornare per brevi periodi “altrove”, tipicamente in estate, è oggi alla portata di molti, ma spesso si finisce per ammassarsi con altri simili negli stessi posti, influenzati dalle migliaia di travel blog, dai portali booking, dalle offerte economiche, dalle tratte low cost, da un immaginario vacanziero sempre più stereotipato. Eppure varrebbe la pena percorrere sentieri non battuti, cercare alternative inaspettate, per scoprire che la meraviglia può essere anche a distanza ragionevole da casa, può essere alla portata delle proprie tasche e altrettanto entusiasmante (se non di più) delle mete maggiormente in voga. Conosciamo bene il turismo di massa, che si abbatte ormai da decenni sul nostro litorale adriatico, così come avviene, forse in misura ancora peggiore, nelle Isole Baleari: territorio raccontato da Miguel Amorós in questo articolo. Ora, se qualcuno tra i nostri lettori e lettrici fosse andato in vacanza alle Baleari non si senta in colpa; non gli/le chiediamo di battersi il patto meditando sui propri peccati, perché qui non vogliamo mettere in discussione i comportamenti individuali (in qualche modo indirizzati e condizionati dal contesto sociale) ma il modello culturale sottostante. Il testo che segue è la trascrizione di un intervento tenuto il 27 ottobre 2016 all’Ateneu Lo Tort[1] di Manacor (Maiorca), che abbiamo ripreso dall’appendice del libro di Henri Mora, Désastres touristiques. Effets politiques, sociaux et environnementaux d’une industrie dévorante (L’échappée, 2022). Un secondo intervento, dedicato ai Pirenei catalani, lo pubblicheremo su uno dei prossimi numeri della rivista.

La distruzione costante e irreversibile della costa e dell’entroterra alle sue spalle non è un fenomeno esclusivo di Maiorca. Si verifica in tutto il Mediterraneo e i suoi effetti sono più o meno visibili ovunque, a seconda della speculazione immobiliare e della costruzione di tangenziali o circonvallazioni. La peculiarità delle Isole Baleari è che questo fenomeno può essere osservato allo stato puro e su scala ridotta, il che ne fa un laboratorio dove studiare l’involuzione di una società, circoscritta in un’area limitata e circondata dal mare, in funzione dell’adattamento delle sue risorse territoriali e dei suoi beni culturali (che sono beni comuni) a un’unica attività economica, privata, il cui solo obiettivo è l’arricchimento personale di chi la pratica.

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Queer Anarchy in St. Imier

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Intervista di Vittorio a Anna, Eli, Fiona, Flip

Dal 18 al 23 luglio nella cittadina di Saint-Imier in Svizzera si è svolto il raduno anarchico internazionale a 150 anni dalla nascita del movimento anarchico organizzato (settembre 1872). Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Bakunin e Kropotkin portavano lunghe barbe arruffate e cravattini neri alla Lavallière. Oggi l’anarchismo è più vivo che mai, ma l’estetica e le pratiche che marcano lo stile di migliaia di giovani attivisti e attiviste sono senz’altro queer e al tradizionale nero si sono aggiunti tutti i colori dello spettro. Lo stile queer contraddistingue la maggior parte dei partecipanti tra i venti e i trent’anni a questo vivace campeggio, dove ogni giorno si condividono idee e pratiche di lotta in più di duecento workshop e eventi. Migliaia di giovani si sono incontrati in una polifonia gioiosa e creativa, a volte caotica e leggera, altre di una intensità e radicalità spesso ancora invisibili nello spazio pubblico del nostro disgraziato paese. Questa intervista raccoglie le voci di giovani militanti provenienti dagli USA, dalla Francia e dal Regno Unito, che vivono attualmente in diversi progetti di abitazione collettiva a Berlino. Nell’intervista presentiamo i partecipanti con i pronomi con cui hanno scelto di essere chiamati secondo il genere nel quale si identificano, secondo una pratica ormai consolidata in ambiente anglosassone. Abbiamo mantenuto nel testo la pluralità di identità utilizzando il maschile e il femminile in modo inclusivo, senza appesantire il testo con particolari segni ortografici.

Vittorio (he/him): Inizierei con una domanda molto elementare perché ho notato nello spazio dell’editoria anarchica, ma anche tra la gente che sta partecipando a questo incontro, l’associazione tra anarchia e queer. Cosa significa, questo per voi? È questo l’abbinamento perfetto? Il nuovo abbinamento? Di cosa stiamo parlando?

Eli (they/them): L’anarchia queer è la creazione del genere e dei ruoli di genere, e la creazione di reti di relazioni basate sull’amore, sulla cura reciproca, sull’impegno profondo per l’amicizia. Questa è l’etica delle comunità queer, e i movimenti e le comunità anarchiche hanno davvero bisogno di quest’etica, in modo da poter diventare spazi amabili e sostenibili, che creano una cultura in cui le persone rimangano e si impegnino a lungo termine. Quindi l’anarchia queer mi sembra una combinazione naturale e necessaria, perché penso che le relazioni del patriarcato e dell’eterosessualità cis siano molto dannose per tutte le persone coinvolte, compresi gli uomini cis. La politica queer offre un’alternativa che è molto più forte, che ha più probabilità di generare un futuro anarchico.

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Spunti di riflessione per una decrescita digitale

Da Rivista Malamente n. 30, set. 2023 (QUI IL PDF)

Di Nicolas Alep

Di formazione informatico, ma in rottura con il suo mondo di provenienza, Nicolas Alep si dedica ora, in particolare, alla critica dell’industrializzazione in agricoltura, tema su cui ha contribuito all’opera collettiva “Reprendre la terre aux machines”, pubblicata dall’Atelier Paysan per le edizioni Seuil nel 2021. Il seguente articolo è stato pubblicato in via preliminare sulla rivista “L’Inventaire” (n. 12, autunno 2022) e, in versione definitiva, come introduzione alla seconda edizione di “Contro il digitale alternativo” (La lenteur, 2023), libro scritto insieme a Julia Laïnae e in via di pubblicazione in traduzione italiana per le nostre Edizioni Malamente.

Mentre la corsa alla digitalizzazione di ogni ambito sociale si rivela essere una fonte infinita di nocività, diversi attori ci propinano l’idea che «un altro digitale è possibile»: più umano, più ecologico, più trasparente, più cooperativo. Le grandi aziende tecnologiche sono avvertire: gli alternativi del digitale desiderano convertire quella megamacchina per profitti che è Internet in uno strumento conviviale al servizio della democrazia e del benessere di tutti/e. Julia Laïnae e Nicolas Alep, nel loro pungente saggio, ne hanno per tutti: burocrati verdi, gruppi di lavoro per una transizione digitale “sostenibile”, cyberminimalisti per la riduzione del danno, supporter del software libero, degli open data e della tecnologia civica. Riaffermano una posizione che appare sempre più insostenibile per molti dei nostri contemporanei: difendere la vita sulla Terra e la libertà umana comporta necessariamente la de-informatizzazione del mondo.

Contro il digitale alternativo, scritto con Julia Laïnae, è un piccolo e corrosivo saggio in cui abbiamo esposto i motivi di fondo che ci separano da quanti sostengono la possibilità di una gestione positiva del digitale.[1] Spesso con buone intenzioni, queste correnti difendono una visione per cui “un altro digitale è possibile”: libero, aperto, cittadino, alternativo… visione alla quale noi contrapponiamo la necessità di una “inversione di tendenza tecnologica”. La critica principale che abbiamo ricevuto è che il libro non apre prospettive di azione, non è un programma politico e ancor meno una guida per “vivere meglio con la tecnologia digitale”. Per molti lettori questo è ovviamente frustrante. Ma allo stato attuale, e per diverse ragioni, non sarebbe onesto pretendere di poter scrivere un manuale d’uso per una vera uscita dal digitale.

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